di Edgar Wallace
L’ultimo libro acquistato a un mercatino è un “giallo economico classico” della Newton, pubblicato nel 1995, ma scritto dall’autore nel 1916. Edgar Wallace (1875-1932) fu un prolifico scrittore britannico che si dedicò abbondantemente al noir/thriller/detective story. Sono rimasto quindi piuttosto sorpreso quando The Tomb of Ts’in si è rivelato solo parzialmente ammantato dell’alone di mistero tipico dei gialli, sfociando invece ampiamente nel romanzo d’avventura.
Il libro è corto, 100 pagine nell’edizione in mio possesso, intorno alle 120 in una con caratteri meno fitti. Forse la necessità di sfornare libri in continuazione ha spinto Wallace a non dilungarsi troppo su ogni singola opera e, magari, i lettori stessi non volevano qualcosa di impegnativo. Addirittura, questa storia riporterebbe molti stralci di una precedente, trascritti quasi parola per parola!
La vicenda parte dal tentato furto di alcuni documenti in possesso di un diplomatico cinese. Tillizinni, professore fiorentino, ingaggiato in passato da Scotland Yard, deve fare luce sulla questione, con l’aiuto del capitano Talham, direttamente coinvolto. Si svela così una vicenda che coinvolge società segrete cinesi, mandarini e loschi trafficanti.
Non nego che, dal punto di vista della facilità di lettura e della leggerezza, il libro fa centro.
Difetta però sotto altri punti di vista. Innanzitutto, i personaggi sono pochissimo caratterizzati e i tratti che vengono descritti non fanno che renderli eccessivamente ridicoli o addirittura poco simpatici proprio per questa ragione. In un altro tipo di romanzo, l’ironia che Wallace mostra di saper padroneggiare – non risparmiando neppure una leggera quanto efficace satira sociale – sarebbe stata ampiamente apprezzata. Qui, però, in un libro che dovrebbe creare tensione, finisce con lo stridere.
La scelta di un narratore onnisciente, che sa più dei suoi protagonisti, è originale e non necessariamente da scartare, perché potrebbe offrire buoni spunti per un inusuale (per il giallo) punto di vista. Tuttavia, non c’è praticamente mistero fin dall’inizio: quelli che ci sono, sono piuttosto miseri e c’è poco che l’investigatore e il suo amico debbano scoprire. Risulta tutto talmente chiaro dall’inizio che di fatto manca l’elemento noir. Fa invece capolino il thriller, con una serie di rapimenti, inseguimenti e giochi spionistici. E, in seguito, l’avventura vera e propria, con una ricerca archeologica in terra cinese (“archeologica” come lo erano quelle svolte da dilettanti a inizio Novecento).
Avrei potuto dargli le ipotetiche 2 stelline e mezzo su 5, ma alcune scelte narrative surreali – soprattutto verso il finale – mi fanno propendere per solo 2 stelline e ci si deve accontentare.
Inoltre, il libro è razzista. Immagino che alcune aree interne della Cina non fossero il massimo nel 1916 quanto a igiene, sicurezza e livello di sviluppo. E ci può stare che per un inglese si trattasse di barbarie bella e buona. Le descrizioni degli stranieri, però, non c’è dubbio che oggi verrebbero bollate come razziste senza mezzi termini: i cinesi, infatti, sono descritti come doppiogiochisti, infingardi, non di rado esteticamente brutti per via dei loro tratti somatici; inoltre, essere un “meticcio” pone automaticamente il malcapitato un gradino sotto alla “razza bianca” nella scala gerarchica sociale.
Non sono spietato nel mio giudizio perché, tutto sommato, volevo una lettura di svago e l’ho avuta.
In conclusione, sono soddisfatto dei miei acquisti al mercatino. Non ho trovato capolavori, ma i libri presi – anche i più orridi – hanno svolto bene il loro compito di intrattenermi con leggerezza.