LIBRI: Terra assetata

di Norman A. Fox

Il secondo western acquistato a un mercatino galeotto si è rivelato, come il precedente, una sorpresa, pur essendo molto diverso sia per trama che per impostazione. Anche in questo caso, l’autore ha sia scritto romanzi che sceneggiature per serie tv e qualche film. Alcune sue opere sono inoltre state trasposte su pellicola.
Norman A. Cox (1911-1960) scrive in un periodo antecedente ad alcuni eventi che, nel bene o nel male, hanno inciso sulla fiction: in particolare, la guerra in Vietnam e il ’68. Non so se è questa la ragione per cui The Thirsty Land (1949) è così diverso rispetto a Luna indiana, ma considerando l’impatto avuto da quegli eventi storici sul cinema western, non è da escludere una qualche influenza anche nella narrativa.

Tutto ciò per dire che questo libro ha un’impostazione sostanzialmente più classica, tradizionale. Per fare un esempio, al netto dei sotterfugi e dei doppi giochi, i personaggi sono molto più definiti nelle loro peculiarità positive e negative. Questo non è necessariamente un male – per me non lo è di certo – perché se da un lato abbiamo una visione del vecchio West più romantica ed edulcorata, dall’altra siamo immersi in atmosfere d’altri tempi che, per certi aspetti, l’uomo moderno rimpiange. Una volta tutto era più semplice? Non necessariamente, ma possiamo sognare che i problemi si risolvessero con il coraggio e la forza di volontà.

Il problema grosso, qui, è la siccità. Da mesi attanaglia la regione del Montana dove vivono i protagonisti, che possiedono l’unica sorgente utile per abbeverare gli animali. Loro sono disposti a condividerla con gli altri allevatori, ma una famiglia potente (ovvero, numerosa e in grado di usare i revolver) vorrebbe appropriarsene per escludere i vicini. Non mancano poi ulteriori interessi e macchinazioni a cui il nostro eroe Dan, un giovane che ha trascorso tre anni a Est per studiare, dovrà fare fronte.

Ciò che ho apprezzato di più sono le atmosfere create dall’autore, che mi hanno immerso benissimo nel tempo e nel luogo da lui descritti, nonostante – o forse grazie? – una traduzione italiana un po’ desueta (ad esempio, si utilizza il “voi” e c’è abuso del passato remoto). Si riesce a percorrere con Dan le strade polverose del paese figurandosi la vita nel West. Un West che, però, sta cambiando. Siamo a fine Ottocento e, come fa notare lo stesso protagonista, non è più l’epoca in cui si può ottenere ciò che si vuole facendo la voce grossa e scatenando una sparatoria… o non dovrebbe esserlo.
Emblematica è la figura del nonno, uno dei primi abitanti della valle e che vede il mondo cambiare davanti a sé. Così sentenzia a Dan all’inizio del libro:

[Il mio bis-nipote porterà] il nome dei Ballard, sì. Ma non avrà il fegato del Ballard. Questa pianura ha visto l’ultimo di questo tipo quando tuo padre morì nella tormenta dell’87. Forse non é colpa tua, né di [tuo fratello] Wayne, forse il coraggio è scomparso da questa terra, ecco la differenza. Bene, tu sei istruito, ti sposerai e tirerai su figli senza spina dorsale e un anno sarà uguale all’altro per te. Produrrai una migliore razza di animali e una peggiore di uomini. E alla fine morirai, ti trasporteranno al cimitero di Ballardton e ti faranno un gran bel funerale, però non saprai mai quello che hai perduto.

Nella miglior tradizione, l’autore ci fa vivere un ultimo guizzo del vecchio mondo nell’avventura che segue, che riesce a essere coinvolgente quanto basta, mostrandoci che non è mai troppo tardi per cambiare, o per correggere delle scelte di cui non si è persuasi, anche in amore.

Se c’è un difetto, è per me l’eccessiva semplicità e prevedibilità dell’ultima parte. Non che mi aspettassi chissà quali particolarità, ma forse la storia si sviluppa troppo pedissequamente lungo un percorso piuttosto prevedibile. Immagino però che il lettore dell’epoca volesse esattamente questo e, alla fin fine, non è comunque un’evoluzione malvagia della storia.

Anche questa, dunque, si è rivelata una valida lettura di intrattenimento leggero.

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