Ho già ampiamente parlato dei 14 romanzi ambientati nel mondo di Oz scritti dal suo creatore, L. Frank Baum. Come avevo accennato alla fine di quell’articolo, altri scrittori vennero successivamente incaricati di portare avanti le avventure in quel mondo fantastico: sono noti complessivamente come “gli storici reali di Oz” e 26 loro opere sono considerate “ufficiali”. Ho deciso di parlarvene un po’ perché ci sono stato dietro mesi per leggerle tutte, un po’ per completezza. Iniziamo con i primi 19…
Ruth Plumly Thompson (1891-1976) scrisse 19 di questi libri tra il 1921 e il 1939 ed è quindi l’autrice più prolifica.
Se io fossi stato incaricato di riprendere le avventure di un autore così amato e apprezzato – e che aveva già segnato la narrativa americana – mi sarei sentito particolarmente sotto pressione. Thompson fa tutto sommato un buon lavoro. Saggiamente, nella sua prima opera (The Royal Book of Oz, 1921) si concentra su alcuni dei personaggi più importanti e amati: Dorothy, lo Spaventapasseri, il Leone codardo; a essi affianca alcune nuove creazioni, che oserei dire riuscite, e fa compiere dei cameo ad altri volti classici del mondo di Oz. L’avventura è nel complesso originale, a tratti un po’ surreale, ma riflette abbastanza bene quello che è lo spirito dei lavori di Baum. Forse rispetto al predecessore difetta un po’ in umorismo e alcune scene sono leggermente confusionarie, ma in generale promuovo questa prima “ripresa” ufficiale di Oz. Si nota che l’autrice ha cercato di essere più “oziana” possibile nella scelta e nell’esposizione delle vicende, pur respirandosi un sapore forse più “moderno”.
Alcuni di questi elementi si ritrovano anche nel secondo volume (Kabumpo in Oz, 1922): un’avventura talmente densa di eventi e personaggi che si rischia di rimanere spaesati, in particolare nel finale a mio avviso un po’ affrettato, soprattutto se paragonato a quelli di Baum, che a volte forse erano al contrario troppo lunghi.
I nuovi personaggi sono particolarmente riusciti, e anzi fanno un po’ sfigurare quelli vecchi, che tutto sommato hanno un ruolo minore. Tra tutti spicca naturalmente Kabumpo, che dà il titolo al libro: un elefante elegante, come viene definito, piuttosto sicuro di sé e vanitoso, che esalta la figura del principe Pompa, della cui famiglia reale fa parte come membro adottivo. Nonostante questi tratti, e anzi grazie a essi, risulta simpatico al lettore, che lo accoglie volentieri nella cerchia delle bizzarre creature di Oz.
La storia in sé è curiosa e ben pensata (anche se il colpo di scena finale era intuibile dal principio) e tutto sommato promuovo il libro.
Man mano che usciranno i volumi, alcuni elementi non troppo convincenti come i finali raffazzonati e i cameo brevissimi e con poco senso, verranno smussati.
Nel tempo, Thompson si troverà a dover dosare tra creazioni antecedenti (sue e di Baum) e nuove comparse: se, da un lato, piace rivedere i propri beniamini, dall’altro è necessario portare una ventata di novità. Il compito non era semplice e, talvolta, i risultati sono un po’ deludenti. Un’ottima idea è stata utilizzare il titolo The Cowardly Lion of Oz (1923) al terzo volume: dato che dei tre “oziti” che accompagnano Dorothy nel primo libro, il Leone era l’unico a non aver avuto un titolo dedicato, ritengo giusto aver voluto rimediare. Ciò accadrà anche con The Hungry Tiger of Oz, 1926, The Gnome King of Oz, 1927, Jack Pumpkinhead of Oz, 1929, e Ojo in Oz, 1933. Allo stesso modo, ricevono l’onore del titolo anche alcuni personaggi creati dalla stessa Thompson, in uno slancio di forse comprensibile egotismo (The Yellow Knight of Oz, 1930, Speedy in Oz, 1934, e Captain Salt in Oz, 1936).
Sono sempre stato d’accordo con il riutilizzo del cast già esistente piuttosto che con il suo sovraffollamento, quindi mi è piaciuto quando l’autrice ha scelto di ripescare alcune precedenti conoscenze. Lo ha fatto con due ragazzini di sua invenzione, Peter e Speedy – protagonisti rispettivamente di tre e due dei romanzi. Una caratteristica di Thompson è infatti il prediligere piccoli eroi maschi alle femmine (al contrario di quanto faceva Baum). A volte il riciclo stroppia, ad esempio nel ripescare sempre lo stesso cattivo per ben cinque volte, mentre ho apprezzato quando se ne sono riutilizzati di più originali (The Purple Prince of Oz, 1932).
In certi casi, si incaricherà del difficile compito di fare chiarezza su alcuni aspetti poco chiari del passato di Oz (The Lost King of Oz, 1925), oppure ripescherà personaggi misteriosamente caduti in disuso (The Giant Horse of Oz, 1928).
Non sempre le sue creature fanno centro e forse lei stessa ne era consapevole, dato che a volte le ripesca e a volte no.
L’apice di questo “riciclo” si raggiunge in The Wishing Horse of Oz, 1935, probabilmente il mio preferito tra i suoi lavori. Qui vengono fatti comparire o perlomeno citati tantissimi personaggi già comparsi (alcuni dei quali vivono pure al di fuori di Oz), strizzando palesemente l’occhio ai lettori affezionati. Con una certa vanità, anche in questo caso la Thompson predilige i propri a quelli di Baum, ed è probabilmente l’aspetto che più infastidisce: alcune assenze (Shaggy Man e fratello, Button-Bright, Cap’n Bill) sono particolarmente ingiustificate, trattandosi di persone reali che sono giunte a Oz e che nel libro si tiene una festa in onore di queste figure; e poi sono comunque stati importanti a suo tempo e a me piacevano! La scelta può forse trovare una giustificazione nel fatto che molti giovani lettori non erano neppure nati al tempo dei libri di Baum e, quindi, si è scelto di usarne altri più recenti…
La storia però ha una buona unità narrativa e la protagonista torna a essere Dorothy, finalmente! Inoltre, l’antagonista è uno dei più astuti mai apparsi, pur senza essere realmente malvagio. Se si passa sopra al fatto che Ozma diventa sempre più tonta e incapace a ogni volume, è una bella storia.
E ora, passiamo ai difetti principali. Come accennavo, manca quell’umorismo che caratterizzava l’opera di Baum, capace di strizzare l’occhio anche agli adulti mentre parlava ai bambini. Thompson realizza fiabe nel senso più stretto del termine e, pur restando scanzonate e apprezzabili anche da un pubblico più ampio del target previsto, non hanno la stessa verve. Inoltre i colpi di scena non sono mai veramente tali, si intuiscono dall’inizio (non so se era voluto).
Altro problema è la ridondanza: il canovaccio utilizzato è quasi sempre lo stesso, salvo rare eccezioni: un piccolo regno ha dei problemi e cerca qualcuno/qualcosa (spesso eredi al trono o simili), due o più storie parallele si mettono in moto e si giunge all’epilogo con Ozma e il mago che risolvono le cose. Nulla di male, solo che vederselo proposto una quindicina di volte può risultare indigesto. Forse per questo, alcune delle opere che più si discostano dalla traccia sono quelle che mi hanno convinto di più (The Royal Book of Oz, Speedy in Oz, The Wishing Horse of Oz, 1935). Va però ricordato che i libri di Oz erano all’epoca un appuntamento annuale, quindi le letture erano piuttosto diradate e, oltre al piacere della storia in sé, c’era anche quello del rituale, del ritrovo con “un vecchio amico” e della lore che ci stava dietro: quindi, presumo, questa ridondanza si avvertiva meno. Inoltre, non è necessariamente una penalizzazione insormontabile. Alcune prove che rientrano nel canovaccio (Jack Pumpkinhead of Oz) sono niente male e piuttosto avvincenti, sebbene altre (Grampa in Oz, 1924, Ojo in Oz), siano ampiamente dimenticabili.
L’ultimo difetto che mi viene da evidenziare è l’utilizzo di creature strampalate inserite quasi solo sulla scia di Baum e/o per allungare la brodaglia: spesso si tratta di diversioni o rallentamenti della storia principale di cui si farebbe (o di cui io farei) molto volentieri a meno. Per fortuna, alla lunga pare essersene stufata la stessa Thompson.
Credo che solamente un appassionato di Oz come me – ma non sono il solo, ve lo assicuro! – potrebbe leggere tutti questi libri. Onestamente, non me la sento di consigliarveli, se non volete per l’appunto farvi coinvolgere dal mondo in questione, oppure se non amate particolarmente la narrativa per l’infanzia. Non che siano brutti, sono una piacevole evasione e una lettura davvero rilassante – qualcuno, come dicevo, è pure bellino; io me ne sono servito nei periodi un po’ no o quando volevo staccare da cose più complesse. Tuttavia, non rientrano nel Gotha della narrativa mondiale e riconosco che c’è di meglio, là fuori.
Sapevo benissimo dei numerosi libri di Oz, ma credo di averne letti al massimo 2 o 3.
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Speriamo fossero i più belli. 😂
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Non saprei. Da piccolo mi avevano divertito.
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Come forse avrò già scritto nei tuoi altri post a tema Oz mi lascia sempre senza parole leggere quanto sia vasto il mondo di Oz, una cosa che, prima dei tuoi articoli, mai avrei creduto: ho letto soltanto il primo libro quando ero piccolo, e non so se lo ricordo davvero o ho finito per sovrapporgli completamente il film. Anche se è interessante leggere di queste pubblicazioni non credo mi metterei mai a recuperarle per intero, soprattutto per la questione della ripetitività che, nelle saghe, mi stanca in fretta: è il motivo per cui ho mollato la saga di Una Serie di Sfortunati Eventi, dopo che per 6 libri il canovaccio è stato esattamente lo stesso ho perso interesse e sono passato ad altro.
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Non pensavo che quella serie fosse così ripetitiva, ma a dire il vero la conosco solo per sentito.
La scelta di abbandonare è comprensibile, soprattutto se si vogliono storie “fresche” ogni volta. Le saghe “infinite” hanno un senso solo se si ha una fanbase che vuole semplicemente ritornare a quel mondo e a cui piace la formula classica, perché è difficilissimo rinnovarsi per decine di libri. Su Oz, io consiglio solo le opere di Baum (almeno per ora), e già così sono parecchie: magari si può andare oltre il primo libro se c’è curiosità, ma quattro o cinque credo siano sufficienti. In ciò è d’aiuto il fatto che, a eccezione dei primissimi volumi, non ci sia una storia che prosegua per tutta la serie, ma che siano grossomodo a sé stanti.
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