La maggior parte delle persone, quando dice di essere stata a New York, in realtà intende dire “sono stata in una parte di Manhattan”. Allo stesso modo, chi dice di essere stato a Las Vegas, generalmente intende dire che è stato nella Strip, la strada dei casinò. Io non faccio eccezione. Tuttavia, ho un tot di cose che sento il bisogno di riferire circa la principale città del Nevada.

L.V. non mi attirava proprio. La capitale del cattivo gusto, del pacchiano, una sorta di Sodoma e Gomorra del Nuovo Mondo, terra di lusso sfrenato… Tuttavia, nel pianificare il viaggio in ‘murica, ero consapevole che evitarla sarebbe stato praticamente impossibile. Dopotutto, è uno dei luoghi più visitati al mondo, secondo un report che ho letto qualche anno fa, addirittura la Strip sarebbe il più visitato. Così, ho accettato di buon grado di sostarci, dopotutto in mezzo a tanti bei parchi e paesaggi potevo ben sopportare una tappa un po’ meh.
La città è nel deserto. Entrando, lo si capisce chiaramente, non ci sono mezzi termini e attenuanti: è un buco nero che attrae ingenti quantità di energia in un luogo che non dovrebbe neppure ospitare forme di vita umane. Consuma come un piccolo Paese africano, un terzo del bacino del Colorado viene utilizzato per alimentare i giochi d’acqua del Bellagio… ok, la smetto con le iperboli, ma davvero la parola chiave è “spreco”.
Ma poi sono caduto nella trappola di Las Vegas, che è si terribilmente pacchiana, ma va talmente oltre che finisce con il coinvolgere. La sera è stata un tour degli hotel più significativi, un turbinio di luci e ombre dentro e fuori gli edifici, una bolgia di turisti ovunque. Le slot machine non dormono mai, in sale scarsamente illuminate le luci delle macchinette brillano senza sosta, giorno e notte non esistono, volti fissi e inebetiti rivolti agli schermi. Ogni albergo è come una piccola città, migliaia di esseri umani brulicano al loro interno, dai casinò ai ristoranti, alle piscine, alle famose cappelle per matrimoni improvvisati: io ho alloggiato all’Excalibur che – in mezzo a tanta pacchianeria – riesce a spiccare come uno dei più pacchiani. Come è possibile trovare al suo interno false armature medievali, così potete ammirare le sfingi al Luxor o le statue degli imperatori romani al Caesar’s Palace. Un piccolo mondo in miniatura, rigorosamente falso. Poi è d’obbligo la tappa di fronte alle fontane del Bellagio, con i loro periodici show di zampillii d’acqua. Oppure potete sostare nei giardini tropicali del Treasure Island.

Perfino io che decisamente non amo le folle, mi sono lasciato trasportare, incurante o quasi della marea umana che mi circondava. E sì, sono rimasto un po’ sconvolto nel vedere ballerini seminudi in strada che offrivano foto con i turisti in cambio di qualche dollaro infilato nelle mutande. O anche strane chiazze rosse sul pavimento di non ricordo quale hotel e poliziotti armati che girovagavano per il salone. E poi la sorpresa nello spostarsi da un hotel all’altro in monorotaia, capolinea il Mandalay, quando si era stanchi di procedere a piedi o in autobus.
Nessun altro luogo al mondo mi ha dato così tanto l’impressione di una macchina che non si spegne mai.
E poi al ristorante dell’albergo – a buffet – ho visto quegli spaghetti sconditi in una teglia e quelle polpettine con sugo nella teglia accanto e ho capito cosa mi veniva richiesto. Dopotutto, se non lo facevo lì, nella città-quintessenza di tutto ciò che è sbagliato, dove altro l’avrei fatto? E così ho gustato i miei spaghetti con polpette e, va be’, non erano neppure malvagi. Cioè, in realtà erano pure buoni. Certo che in Italia mangiano proprio bene. Aspetta, ma io vivo in Italia! E non mangiamo certo questa roba. Be’, allora dovremmo proprio introdurli… COSA MI STA SUCCEDENDO?!

a me piacerebbe andarci anche solo per CSI
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Non li ho mai mangiati, ma sono ragionevolmente sicura che, se cucinati a modo, gli spaghetti con le polpette siano proprio buoni.
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