VIAGGI: Zion N. P., Stati Uniti

Ormai saprete quanto ami i deserti. Eppure, dopo miglia e miglia di sassi, rocce e sabbia punteggiati da piante spinose e copertoni di auto ai lati della strada (in quantità industriali), vedere un po’ di vegetazione folta non dispiace. Lo Zion National Park, nello Utah, è stato per me un piacevole diversivo, dove ho ritrovato quegli ambienti boschivi che mi hanno ricordato la cara, vecchia Europa. Ovviamente, con specie tipicamente americane.

Le rocce ci sono sempre, ma guardate quanto verde!

Soffermandoci proprio sulle specie animali, se si è fortunati è possibile adocchiarne qualcuna anche senza essere etologi esperti. Nel nostro caso, ad esempio, lungo il tragitto per arrivare qui abbiamo intravisto dei bisonti: visione tanto più apprezzata in quanto in passato rischiarono l’estinzione completa negli Stati Uniti e vennero reintrodotti dal Canada. Nei pressi del parco, alcuni cervidi ci hanno attraversato la strada. Ci siamo serviti di un bus per entrare nel territorio protetto e, quando la specie animale più famosa – il ranger – è salita a bordo per un rapido controllo dei documenti, sono partiti commenti estasiati da parte dei visitatori.
Tornando al parco, presenta quasi tutti i comfort che la civiltà può fornire – ristoranti, bagni chimici, negozi di souvenir… solo internet è ballerino – ma è possibile inoltrarsi sufficientemente nella natura da sentirsi “isolati” dalle creazioni dell’uomo. Detta onestamente, non abbiamo dedicato a Zion tutto il tempo che probabilmente meriterebbe, ma è stata una bella esperienza. Ci siamo stati d’estate, ma ogni stagione offre un paesaggio differente: in particolare, in inverno fiumi e cascate si ingrossano, conferendo un aspetto molto diverso al luogo. Se siete amanti del trekking e delle immersioni nell’ambiente, è veramente fantastico.
Per dei dilettanti come me, un paio di scarpe da ginnastica, dei vestiti leggeri e i sentieri tracciati sono più che sufficienti. Consiglio di vivere l’esperienza di incamminarsi a ridosso delle pareti rocciose per poi infilarsi dietro una delle cascate – anche se ci si bagna un po’.
Le montagne hanno nomi pittoreschi come The Great White Throne e Altar of Sacrifice, come tipico in America. Non so se è per l’influenza religiosa dei mormoni, ma molti picchi hanno appellativi che richiamano il metafisico.

Fiume.

Nonostante che “in America tutto è più grande”, l’area protetta è meno estesa di quella del Parco Nazionale del Gran Paradiso e meno della metà di quella del Gran Sasso, per fare degli esempi nostrani. Eppure, quando ci si affaccia su una delle tante gole e si scorgono le montagne rossastre, le foreste che paiono infinite e il fiume che scorre in basso verso l’orizzonte, si ha una sensazione di immensità.
Non deve neppure stupire la diversità di ambiente rispetto ad altre zone dello Stato. Va ricordato che lo Utah ha un’estensione pari a circa i 2/3 di quella italiana, quindi una certa varietà di climi e vegetazione è comprensibile.
Questo luogo non è una delle mete più gettonate dai turisti stranieri, ma essendo collocato non troppo distante – in termini americani – da altre località-simbolo come il Grand Canyon e Las Vegas, ci si può fare un pensiero.


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