LIBRI: Poema di Keret + Poema di Aqhat

Il tuo esercito sia una grande potenza: cento miriadi di aurighi,
fanti senza numero, innumerevoli arcieri.
Avanzino a migliaia veloci come un lampo,
camminino a miriadi, fitti come pioggia d’autunno.

Ci sono cascato di nuovo. Già una volta vi avevo proposto delle opere che – a causa della loro vecchiezza – ci sono giunte molto frammentarie. Mi riferisco ai poemi ittiti, di cui ho parlato perché per me sono molto gnocchi. Tuttavia, ero consapevole che leggere dei testi di cui buona parte del contenuto è andata persa non entusiasma qualsiasi lettore. Be’, non ho resistito e mi ritrovo a parlare ancora una volta di frammenti.

Il Poema di Keret è probabilmente uno dei testi più famosi della cultura ugaritica, diffusa nella zona dell’attuale Siria in epoca antica. Risale al XIV secolo a.C. e, incredibilmente, abbiamo il nome del suo probabile autore, Ilumilku. Lo stile ricorda quello di altre opere mesopotamiche o del Vicino Oriente, inclusi i testi ebraici. Ripetizioni, formule, parallelismi sono alquanto diffusi. Non di rado, interi messaggi vengono riproposti più volte: ad esempio, dal sovrano al messaggero e dal messaggero all’altro sovrano, che magari li ripete a un consigliere. Può sembrare palloso – e forse lo è – ma fa parre della tradizione narrativa di quel contesto storico-geografico.
La storia è quella di un sovrano che minaccia una città vicina per ottenere in moglie la figlia del re. Ciò perché gli è stato annunciato in sogno che, grazie a lei, avrà una discendenza. Questo è un tema molto caro alle tradizioni antiche (e non solo), così come l’identificazione tra un re e il proprio Paese. Successivamente, infatti, il sovrano si ammala e da quel momento la siccità colpisce la regione. Troviamo scelte narrative analoghe in numerosi testi, spingendoci anche in avanti con i secoli; penso, ad esempio, al mito del Re Pescatore nella tradizione arturiana. A causa della frammentarietà del poema il lettore fatica a immedesimarsi nei personaggi e a viverne il dramma, ma è possibile comunque farsene un’idea. Nello specifico, mi riferisco ai passaggi in cui è necessario sacrificare la figlia del re per salvare quest’ultimo. Insomma, un poema di difficile approccio, ma piuttosto breve e certamente tipico di una cultura poco nota.

Il Poema di Aqhat, giuntoci perfino più frammentario, sembra che celasse una trama ancora più interessante, in ogni caso direi più elaborata. Torna l’importanza della discendenza e della fertilità: il re desidera avere eredi, qualcuno che prenda il suoi posto e ovviamente mostrare la propria virilità. Viene esaudito e nasce Aqhat (parallelismo con Abramo e il tanto atteso figlio). Il giovane cresce forte ed eroico e una dea cerca di sedurlo (parallelismo con Gilgamesh e Ishtar). Al rifiuto, medita vendetta e ordisce un attacco a tradimento con l’arco tramite un “sicario”, salvo poi pentirsene (parallelismo con, tra gli altri, La canzone dei Nibelunghi). La sorella del giovane Aqhat vuole vendicarlo e – almeno così sembra dai frammenti – si veste da guerriero per avvicinare il suo assassino (e qui i parallelismi si sprecano, dalle eroine dei poemi cavallereschi italiani a Mulan). Insomma, tanti temi riproposti anche in epoche successive fino a oggi. Peccato davvero per le numerose porzioni di tavolette irrimediabilmente danneggiate.

Ho trovato questi testi nel saggio Poemi ugaritici della regalità, edito da Paideia Editrice nel 2004, a cura di Chiara Peri. Il libro è molto agile, ma sono presenti introduzioni piuttosto valide per capire il contesto culturale e i principali dettagli stilistici. Sono inoltre presenti dei brevi frammenti noti come “Frammenti dei Refaim“, che potrebbero aver fatto parte del Poema di Aqhat (ma non è certo). Mi è dispiaciuto che il volume non contenesse anche il Ciclo di Baal, serie di poesie mitico-religiose sempre di origine ugaritica, ma ci si deve accontentare.

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