LIBRI: Tunkashila

di Gerald Hausman

Il tempo è l’erba che cresce dall’eternità.

Come certamente mi è già capitato di dire, mi pare che il poema epico sia una forma narrativa tipica delle culture indo-europee. La maggioranza dei testi rientranti nella categoria, infatti, è stata prodotta in Paesi afferenti a questo gruppo di popoli. Si pensi ai poemi greci, o indiani, ma anche romani, persiani e, più recentemente, franco-occitani e inglesi. Ciononostante, il poema epico non è esclusivo degli indo-europei, e certamente non lo è l’epica nel senso più ampio del termine.
Tunkashila è un testo che raccoglie diversi miti dei nativi nord-americani. Non è, però, una semplice antologia di storie, folklore o leggende, ma una compilazione che mira a ripercorrere la tradizione orale di questi popoli dai miti della creazione alla fine del loro mondo. Lo fa con un linguaggio poetico, a volte perfino “alto”, ma senza far venire meno quel tocco a volte scanzonato tipico delle narrazioni amerindie.

Essendo frutto di varie nazioni indiane, le storie a volte si sovrappongono o stridono tra loro, o hanno somiglianze. La narrazione complessiva, però, è fluida e scorrevole. Complice anche la brevità dei capitoli, è possibile “mettere in pausa” la lettura senza uscirne spaesati, oppure essere invogliati a leggere un altro pochino prima di interrompersi.
Ci si accorgerà presto che questa epica è parecchio diversa dalla nostra. Oltre ai toni più scanzonati, si noterà una maggiore importanza della natura come elemento che permea la vita degli uomini. Inoltre, esseri umani, animali, dei e fenomeni naturali hanno confini più sfumati, interagiscono spesso, possono convivere nel medesimo individuo. Si verrà immersi nella vita quotidiana delle popolazioni, con le loro cacce, raccolte di frutti ed erbe, cerimonie, canzoni… e il fondamentale momento delle narrazioni attorno al fuoco, dove si tramanda la memoria e si riportano gli eventi incredibili occorsi in tempi mitologici o recenti.
Guerra e amore, che pure sono presenti, appaiono “diversi” da quelli riportati – per fare degli esempi – nella Materia di Britannia o nelle Chansons de geste: il modo di corteggiare e di affrontarsi sono parecchio differenti; inoltre, è presente un maggiore focus sulla sessualità e l’attrazione fisica. Al tempo stesso, sono temi universali e, come tali, vengono trattati anche nei miti indiani.

Ma amore, il primo tizzone che illumina il cuore, non diventa grigio e freddo quando i sogni vengono infranti.

Con il procedere della lettura, si può notare un processo evolutivo – o involutivo. Si parte da storie più incredibili, in cui le divinità sono protagoniste o hanno un ruolo centrale, in cui si combatte contro mostri giganti, o in cui elementi fantastici sono al cuore della narrazione; e si termina con racconti più realistici, che hanno a che fare con fatti storici spesso comprovati o comunque a cui anche un lettore europeo può credere. Questo perché il mondo dei nativi inizia a scontrarsi con quello dei bianchi. Questi ultimi fanno capolino nelle storie, sorge la consapevolezza che la propria realtà è destinata a finire, che il mondo non sarà più lo stesso. Proprio come un testo religioso, Tunkashila presenta una “genesi” – il mito dell’Isola Tartaruga – e una “apocalisse” – la distruzione dello stile di vita indigeno… e forse della sua cultura.
Intenzionale o meno, nel lettore si fa strada un tono più triste e malinconico, che illustra il tentativo di un popolo – anzi, di più popoli – di non sparire nell’oblio e di tramandare le proprie storie. Così, è con il massacro di Wounded Knee – che per molti studiosi segna la fine della storia della frontiera americana – che il libro si conclude.

La vita non è che il breve bagliore della lucciola in una notte d’estate.

Il libro mi è piaciuto molto. Forse l’ho trovato un po’ più pesante di quanto mi aspettassi, ma anche più “profondo” e “poetico”, ricco di immagini evocative, similitudini spesso legate al mondo della natura, e pieno di inventiva. A volte le descrizioni erano così dettagliate, o comunque ben rese, che potevo quasi figurarmi le scene davanti agli occhi. Sui due piedi, mi torna in mente quella dell’essere anfibio che si innamora di una giovane donna e che viene descritto in tutta la sua squamosità e viscidità.
Un plauso, quindi, sia ai narratori che hanno tenute vive queste tradizioni, sia all’autore che le ha trascritte e riprodotte in maniera così vivida. Devo precisare che non mi è chiara l’antichità di queste storie: il fatto che gli dei primordiali – come il Sole – abbiano dei cavalli, mi porta a pensare che non possano essere precedenti all’arrivo degli spagnoli in America, e probabilmente sono parecchio successive. Forse a un sostrato più antico hanno aggiunto in seguito elementi più recenti e familiari.

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