Rieccomi! Oggi vi propongo alcune letture sulla vita di frontiera in uno dei Paesi con maggiori somiglianze con la più celebre frontiera americana, anche se – come vedremo – non mancano le peculiarità. Viaggiamo in Australia per 140 anni (1788-1928)!
La riva fatale. L’epopea della fondazione dell’Australia
di R. Hughes, 1990, Adelphi
Ne avevo già accennato mesi fa e lo ripropongo perché è veramente uno dei pochi testi in italiano che trattino degli Antipodi. Devo avvertire che è un mattone bello corposo, ma si tratta di una lettura molto interessante. Il focus è sulle deportazioni di carcerati nel primo periodo della Storia australiana, quindi su un argomento abbastanza di nicchia. Solo in parte legato alla vita nella frontiera, tratta però di quell’aspetto che è stato alla base della colonizzazione dei vasti spazi del continente. L’autore ci ricorda come i prigionieri siano stati solo una parte dei coloni, la cui percentuale è ben presto divenuta minoritaria: questo perché, anche in tempi recenti, si tende sempre a scherzare (ma neanche tanto) sulle origini galeotte del Paese. Al tempo stesso, non sminuisce l’importanza di questo fenomeno per dare il via a un progetto più vasto di popolamento. Inoltre affronta le dinamiche secondo le quali dei prigionieri, scontata la pena, hanno contribuito a forgiare il territorio e le colonie, diventando popolazione stabile di allevatori, coltivatori, eccetera. Non maschera inoltre le crudeltà vere e proprie che spesso venivano applicate nei campi di prigionia, che avevano pure una loro gerarchia di durezza per recidivi: Sydney –> Port Arthur –> Norfolk Island (nominata “l’inferno in Terra”). Viene anche precisato come, con il tempo, farsi sette anni in Australia come galeotto divenne sempre meglio che farseli su una nave prigione al largo di Londra e che molti vedevano la cosa come possibilità di rifarsi una vita.
Forgotten War
di Henry Reynolds, 2013, NewSouth Publishing
Inevitabilmente devo ricorrere a testi in inglese, perché il mercato italiano è tiranno, ahimè. L’autore di questo libro è celebre perché da decenni è schierato dalla parte di chi rivaluta l’importanza degli aborigeni nella Storia del Paese (ci sono state vere e proprie “history wars” tra chi minimizza e chi enfatizza). L’idea di Reynolds è che i conflitti tra coloni e nativi possano ritenersi una vera e propria guerra, anche se combattuta con modalità particolari, in primis il terrore e la guerriglia. In questo, in effetti, assomiglia alle altre guerre di frontiera, ma sono mancate quelle grandi battaglie che hanno contraddistinto Stati Uniti e Nuova Zelanda. Ritengo però che abbia ragione. Al tempo stesso, penso che definire come “guerra” quanto avvenuto, rischi di rendere meno gravi gli atti efferati compiuti ai danni degli aborigeni, che sarebbero quindi atti di guerra e non “veri” crimini. L’autore, però, mette in luce le spietatezze compiute senza minimizzarle e, al tempo stesso, evidenzia l’importanza dei nativi nel plasmare il territorio prima dell’arrivo degli europei, che hanno beneficiato senza saperlo del lavoro da loro compiuto. Inoltre non c’è dubbio che, per la Storia del Paese, il conflitto durato 140 anni per il possesso del territorio sia stato molto più importante di qualsiasi altro venuto durante o dopo, eppure molti – anche ai vertici dello Stato – fanno finta di nulla. Anche in termini di pure cifre la guerra di frontiera è sul podio dopo la I e la II Guerra mondiale (rispettivamente 62.000 e 40.000 morti), con 25.000 vittime aborigene (ma data la scarsità di dati non è escluso che siano state molte di più) e 2.500 tra i coloni; la guerra anglo-boera, che viene subito dopo, ebbe “solo” 600 morti.
Settler Society in the Australian Colonies: Self-Government and Imperial Culture
di Angela Woollacott, 2015, OUP Oxford
Quest’altro saggio affronta solo in parte il tema degli aborigeni, ma analizza la vita di frontiera sotto varie prospettive. Ho faticato di più a finirlo rispetto al precedente, perché il linguaggio e le tematiche sono meno accattivanti. Tuttavia ha l’indubbio pregio di mostrare aspetti sul tema che raramente vengono presi in considerazione. L’autrice, inoltre, dà un certo rilievo al ruolo femminile nella società coloniale, parlandoci anche di vari esempi di donne che hanno vissuto in zone rurali dell’Australia nel XIX secolo. Alcuni degli argomenti trattati sono il legame tra le colonie australiane, l’impero britannico e gli altri possedimenti, in particolare l’India; l’evoluzione del suffragio e le elezioni; la violenza diffusa, sia per la presenza dei bushranger (sostanzialmente dei banditi, spesso assurti a eroi romantici nell’immaginario collettivo) che per le lotte con gli aborigeni; la partecipazione e il coinvolgimento anche emotivo per la rivolta dei Sepoy in India e le guerre maori in Nuova Zelanda. Anche se non sempre coinvolgente, dunque, il libro è particolarmente interessante. Ho inoltre scoperto alcune curiosità, come il fatto che la paura per le azioni dei bushranger era tale che venne emanata una legge che permetteva a chiunque di arrestare una persona armata che sembrasse poter compiere una rapina: veniva di fatto meno il presupposto di innocenza.
E voi? Qual è il vostro rapporto con la Storia di questo Paese? Nullo o un po’ vi è capitato di affrontarla? Se per caso conoscete testi in italiano, non esitate a riportarli nei commenti!
Gli unici testi culturali letti sull’Australia riguardano le enciclopedie di animali 😅😅
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Che bello il tuo post! Mi sono un po’ dedicata all’Australia un paio di mesi fa, questi volumi potrebbero essere utili per approfondire. Se non ti dispiace, linko il post al mio…
e, by the way, sto leggendo “Dirt music” di Tim Winton…. autore australiano….
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Anni fa, tanti ormai, ho letto una marea di romanzi australiani, ero fissatissimo. Adesso mi sono un po’ placato, ma alcuni li ho ancora in mente. Di Tim Winton mi era piaciuto “In the Winter Dark” (“Nel buio dell’inverno”), ma il suo più celebre è “Cloudstreet” (id.). 🙂
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Potresti consigliarmi qualche romanzo australiano oltre a quelli di Tim Winton, per favore?
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Autori famosi sono Peter Carey, David Malouf, Colleen McCullough e Richard Flanagan. Più vecchio c’è il premio Nobel Patrick White.
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Tempo fa avevo letto un bell’articolo su Colleen McCullough (https://lapinsu.wordpress.com/2015/07/22/eptalogia-coleen-mccollough-su-giulio-cesare/), e già allora mi ero ripromesso di dare un’occhiata ai suoi romanzi: magari lo farò quando avrò finito quello che sto leggendo adesso (“La lista” di Michael Connelly, davvero bellissimo). Grazie per la risposta! 🙂
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