Concludo la mia rassegna dei sotto-generi del cinema western basati sul luogo di ambientazione. Questa volta vi propongo quelli più surreali, ovvero che sono ambientati in luoghi che esulano da quelli classici del genere, che sono generalmente ritenuti Stati Uniti, Canada, Messico e – talvolta – Australia.
Ve ne propongo tre aggiungendo come nota finale alcuni titoli per chi volesse approfondire queste bizzarrie.
Oceano di fuoco – Hidalgo
Hidalgo, 2004, Stati Uniti/Marocco, regia di Joe Johnston
Un grande classico del cinema, quello del “pesce fuor d’acqua” viene qui riproposto in una gustosa variante. Frank Hopkins – personaggio realmente esistito ma celebre per averla spesso sparata grossa sulle proprie imprese – è famoso per la sua abilità a cavallo. Apprezzato dai nativi, prova una forte repulsione per il suo ruolo nel massacro di Wounded Knee (per quanto incolpevole). Per ritrovare un po’ di pace, decide di sottoporsi ad una prova estrema: la Oceano di fuoco, gara di 3.000 miglia nel deserto d’Arabia.
Ci sono decine di arabi e un americano in gara: indovinate chi vince. Al di là delle ovvie esagerazioni, lo ritengo uno spettacolo intrattenente e tutto sommato ben realizzato. Presenta la giusta dose di pathos e una buona resa della fatica cui una simile prova sottopone. Ci si concede perfino un soffermarsi sulla psicologia del protagonista, la cui tenacia e il cui desiderio di non cedere si accrescono progressivamente, diventando soprattutto una sfida con se stesso. Viggo Mortensen apprezzabile.
Il buono, il matto, il cattivo
좋은 놈, 나쁜 놈, 이상한 놈, 2008, Corea del Sud, regia di Jee-woon Kim
Palese omaggio al capolavoro di Sergio Leone, questo filmetto ricco di azione mi è piaciuto parecchio. Pur non ritenendolo al livello del classico spaghetti western, lo reputo un buon intrattenimento.
Ambientato ai tempi dell’occupazione giapponese della Manciuria, vede per protagonisti tre avventurieri disposti a tutto per il denaro. Alle loro storie personali si intrecciano gli interessi della potenza occupante e quelli dei ribelli coreani e dei banditi mancesi.
Nonostante la profusione di strane espressioni e smorfie cui gli attori asiatici sono soliti indulgere, la recitazione è buona. La storia risulta convincente, pur con alcuni elementi e scene un tantino surreali per venire incontro alle esigenze di azione e spettacolarità.
In Italia è addirittura giunto al cinema e in televisione; in quest’ultimo caso, è stata talvolta trasmessa una versione dal finale tagliato, che mutila gravemente il senso e la comprensione del finale stesso, perciò attenti!
Tra i vari esperimenti di western asiatici ambientati in Asia è per me il migliore quanto a risultato complessivo, benché forse non sia tra i più originali quanto a storia (e forse questo è alla fin fine un pregio, se si vuole omaggiare un genere “estraneo” al proprio ambiente).
Lo straniero della valle oscura
Das finstere Tal, 2014, Austria/Germania, regia di Andreas Prochaska
Questo film è stata la proposta austriaca per gli 87° premi Oscar nella categoria “Miglior film straniero”; come immaginavo, e come capirete dal mio commento, ha toppato alla grande.
È ambientato in Austria, cosa che generò senza dubbio una certa curiosità. Nell’internet ho letto varie recensioni, di stampo opposto. Chi lo reputa una noia e chi pensa sia fatto benissimo. Personalmente mi schiero con la prima categoria, pur non bocciandolo totalmente. La storia fatica ad ingranare e la prima ora poteva essere probabilmente condensata. Successivamente si riprende un po’, per poi assumere un ritmo accelerato nel finale, ma credo sia un po’ troppo tardi.
È la classica vicenda di uno straniero che arriva in paese, solo che questa volta le montagne innevate non sono quelle del Colorado, ma le Alpi. Per il resto, le differenze con un qualsiasi western sono minime. Ho trovato i paesaggi particolarmente gradevoli da vedere e l’ambientazione particolare dà un tocco in più.
Il terreno innevato mi ha rimandato a Il grande Silenzio e in generale alcune scelte stilistiche mi sono parse à-la-Corbucci. Non mancano scene di crudeltà e di sangue, che tanto richiamano gli spaghetti western (o gli euro-western) degli anni ’70.
Personalmente non me la sento di consigliarlo, al di là del fatto che è senza dubbio una curiosità, quasi un segno di revival del western europeo (si vedano Gold e The Salvation) dopo tanta stagnazione. Certo, se siete appassionati del genere, potreste raccogliere le forze per resistere all’impatto della prima ora stagnante.
(Bizzarria: c’è pure l’attore protagonista di Il commissario Rex).
Dato che il tema di oggi è abbastanza curioso… alcuni titoli, accompagnati da anno di produzione e Paese di ambientazione.
America Latina: L’ultima carica (1945 – Argentina), L’americano (1955 – Brasile), Il dio nero e il diavolo biondo (1963 – Brasile), Viva Gringo (1965 – Perù), Antonio das Mortes (1969 – Brasile), Django 2 – Il grande ritorno, (1987 – Colombia), Walker – Una storia vera (1987 – Nicaragua), Aballay (2010 – Argentina), i numerosi film su Martin Fierro (Argentina), Sal (2011 – Cile), Blackthorn – La vera storia di Butch Cassidy (2011 – Bolivia)
Europa: Il bandito della Sierra Morena (1957 – Spagna), Duello nella Sila (1962 – Italia), To homa vaftike kokkino (1965 – Grecia), La collera del vento (1970 – Spagna), Dust (2001 – Macedonia), Estrada de Palha (2012 – Portogallo)
Africa: La furia degli implacabili (1961 – Sudafrica), Il ritorno di un avventuriero (1966 – Niger), 6 pallottole per 6 carogne (1967 – Sudafrica)
Asia: Lo straniero di Silenzio (1968 – Giappone), Agit (1972 – Turchia), Peace Hotel (1995 – Cina), Le lacrime della tigre nera (2000 – Thailandia), Sukiyaki Western Django (2007 – Giappone)
Per l’elenco complessivo dei sotto-generi western che sto trattando. —> Qui.
Un mio prof di cinema, della redazione di Filmcritica, era fissato con Hidalgo. Voleva che lo andassimo a vedere a tutti costi! Per farci andare disse che ce lo avrebbe chiesto all’esame anche se l’esame era su Ozu, Dreyer, Bresson e Sokurov!
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Oh, cavoli… 🤣 È un intrattenimento carino, ma non credo sia a livello di esame. A te come è sembrato? C’è qualcosa che può effettivamente essere materia di analisi a quei livelli?
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Sono 16 anni che me lo chiedo!
Forse la gestione dei colori…
Io sono di quelli che si “ribellò” e non andò a vederlo (lo vidi pochi mesi dopo in home video)… All’esame gli impapocchiai un discorso arronzato sul confronto tra le «Giovanna d’Arco» di Dreyer e Bresson… mi incartai… cercai di riprendermi con «Dies Irae» di Dreyer ma non ci fu verso: la frittata era fatta: andò malissimo!
Il prof lo rividi un paio di anni dopo, alla Mostra del cinema di Venezia: facemmo un paio di file insieme (una per andare a vedere una proiezione speciale di «Inland Empire» di Lynch) e un viaggio in bus dal palazzo del cinema al molo del vaporetto del Lido: non si ricordava di me, ma, privi dell’«ansia universitaria», si parlò di cinema normalmente, anche con battute divertenti! E in quella conversazione capii che, per lui come per tutti i “Filmcritici” (e sul bus c’era anche Edoardo Bruno, il “decano” di «Filmcritica», visto come un guru da tutti), l’immagine era più importante di tutto, più della trama e forse più dello stesso montaggio…
Perciò ci sta che in «Hidalgo» abbia visto qualcosa proprio sul versante della “bellezza” visiva…
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Non c’entra niente, ma mi hai suggerito un motivo per cui Roger Ebert stroncò Harold and Maude, un mio personal favourite da tempo immemore. Effettivamente come bellezza delle immagini non dice molto, ma questo non cambia la mia opinione, naturalmente!
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E invece «Harold and Maude» è un “testo” cardine studiatissimo, che quel prof adorava… quindi, forse, la bellezza dell’immagine non c’entra niente e il prof, forse, guardava alla pienezza teorica dello sguardo… e quella pienezza certamente c’è in Hal Ashby, ma c’è davvero in Joe Johnston?
boh…
forse sì eh…
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