FILM: 5 western “revisionisti” che meritano #2

Bentornati alla mia solita carrellata di western. Riprendo quelli revisionisti che già avevo affrontato, proponendovene altri cinque più o meno significativi.

Revisionist western 06Il grande sentiero
Cheyenne Autumn, 1964, Stati Uniti, regia di John Ford
Questo è forse il più revisionista dei film di Ford, il suo omaggio agli indiani dopo tanti film in cui aveva fatto fare loro la parte dei nemici, o perlomeno del pericolo da affrontare. Viene riportata la marcia forzata del popolo cheyenne fuggito dalla riserva in Oklahoma nel tentativo di tornare alle sue terre nel Wyoming.
La tensione tra bianchi e nativi è palpabile e se da un lato c’è chi simpatizza con questi ultimi, tra cui lo stesso capitano incaricato di fermarli, c’è anche chi specula sopra la vicenda, come certa stampa desiderosa di titoli da gridare sulla “minaccia indiana”.
Nonostante un intermezzo comico che riguarda Wyatt Earp e Doc Holliday – a mio avviso piuttosto fuori luogo – il clima del film è decisamente drammatico. Le sofferenze delle vittime civili sono ben esposte, così come le loro ragioni: è evidente che è preferibile morire tentando di essere liberi, pur tra mille stenti, che lontano da casa e sotto i soprusi degli invasori. Non è forse tra i migliori lavori del celebre regista, ma è da ricordare per la sua tematica anomala e il modo toccante in cui viene affrontata. Carrol Baker interpreta quello che è probabilmente il personaggio più incisivo, una quacchera schierata in difesa degli indiani.

Revisionist western 07Il mucchio selvaggio
The Wild Bunch, 1969, Stati Uniti, regia di Sam Peckinpah
Questo è quasi certamente il capolavoro di Peckinpah. Film che rientra anche nei sotto-generi del western crepuscolare e del Mexico western, narra di un gruppo di fuorilegge attempati – residui di un’epoca che sta morendo – che decide di varcare il confine alla ricerca di un ultimo, grande colpo, per chiudere la propria carriera. Negli USA la legge li bracca senza tregua, mentre in Messico, forse, c’è ancora qualche speranza.
Il cast è stellare ed è costituito da veterani del cinema di genere (cito solo William Holden, Robert Ryan, Ernest Borgnine e Edmond O’Brien, ma la lista è lunga), capaci di trasmettere le emozioni provate dai personaggi e di farci simpatizzare per loro, pur essendo avanzi di galera.
La violenza si spreca: pur non essendo gratuita, di certo è ostentata. La battaglia finale (direi che si può proprio parlare di “battaglia”) è una delle più lunghe cui abbia assistito al cinema e vede sparare 10.000 pallottole, in un assalto dei protagonisti che è un ultimo, disperato afflato, quasi un tentativo di concludere gloriosamente la propria vita.
Un ottimo montaggio, con scene serrate, 3.600 inquadrature rapide, alcune di pochi secondi, che ben rende la concitazione dello scontro.
Forse un po’ troppo lungo e a tratti leggermente pesante, ma un capolavoro del western, carico di emozioni e capacità registica.

Revisionist western 08Io sono Valdez
Valdez Is Coming, 1971, Stati Uniti/Spagna, regia di Edwin Sherin
Abbiamo tutto il melting pot possibile; uno sceriffo di origini messicane cerca giustizia per la vedova indiana di un afro-americano. Direi che è decisamente un incipit left-winged e revisionista, soprattutto perché il cattivo è l’ennesimo latifondista bianco. Epperò anche la mentalità right-winged può trovare appagamento, soprattutto nell’abbondante ricorso alle armi per risolvere la questione.

“Ne hai colpito uno a… 700? 800? yarde”
“Anche 1.000”.

Braccato nel tentativo di fare la cosa giusta, Valdez (Burt Lancaster) dovrà trasformarsi da preda in predatore. E ci riuscirà, diamine. La sua strafottenza quando si sbarazza di un nemico dopo l’altro risulta perfino piacevole al pensiero delle angherie che ha subito in precedenza. Così, finisce con il farsi annunciare come un angelo vendicatore: si sarebbe accontentato dei 100$ di risarcimento ma, a questo punto, avrà le teste dei suoi nemici.

“Digli: arriva Valdez”.

Non è uno di quei film che la critica definirebbe imprescindibili, ma a me è piaciuto.

Revisionist western 09Buffalo Bill e gli indiani

Buffalo Bill and the Indians, or Sitting Bull’s History Lesson, 1976, Stati Uniti, regia di Robert Altman
Ben più noto e acclamato, dello stesso regista, è I compari, ma preferisco ricordare questa pellicola comica con una forte punta di amarezza. La figura di Buffalo Bill (un eccellente Paul Newman) viene smitizzata e ridicolizzata, forse perfino troppo, presentandocelo come un egotista vanaglorioso, ma privo di una vera e genuina concezione della vita e del successo. A fargli da contraltare è Toro Seduto, che pur non parlando mai – ha perfino un uomo della sua tribù che ne interpreta e riferisce i pensieri! – riesce a far emergere perle di saggezza e riflessioni in chi gli si rivolge (tipo la maieutica di Socrate). Si ride, ma il film ha un sapore agrodolce: il nobile selvaggio è ridotto a fenomeno da baraccone per il circo del popolo vincitore, mentre quest’ultimo è privo di nobili ideali.
Sono presenti anche dei cameo di prestigio: Harvey Keitel, Geraldine Chaplin e Burt Lancaster, quest’ultimo dei panni del giornalista Ned Buntline, secondo forse solo a Buffalo Bill nel mitizzare la frontiera.
Ritengo quest’opera sottovalutata… o forse sono io che mi sono fatto trascinare troppo.

Revisionist western 10Balla coi lupi
Dances With Wolves, 1990, Stati Uniti, regia di Kevin Costner
Dopo essere stato ferito in battaglia, il tenente Dunbar decide di ritirarsi in una zona ancora piuttosto remota, un avamposto ai confini dei territori ancora dominati dalle tribù indiane. Qui fraternizzerà con un lupo – cosa che gli varrà l’appellativo che dà il titolo al film – e con gli stessi nativi.
Ho sempre pensato che Avatar fosse un po’ come la versione fantascientifica (e brutta, ma è solo un mio parere) di quest’opera. In effetti, qui abbiamo l’intruso che si fa trasportare dalla cultura del popolo che sarebbe, teoricamente, suo nemico e arriva a combattere al suo fianco. Al tempo stesso, Dunbar mostra notevole pazienza, spirito di iniziativa e comprensione nell’avvicinarsi a usi e costumi sioux e nel farsi accettare dalla gente del luogo.
Produzione maestosa, imponente e molto lunga (praticamente introvabile sul nostro mercato la versione integrale), dal fortissimo respiro epico, con un’ottima fotografia che esalta i paesaggi e le scene di caccia e battaglia. Può non piacere ed essere considerato un mattone, ma è forse l’ultimo, grande classico del genere western, un canto di amore per questo tipo di pellicole e, in fin dei conti, una grande storia di amicizia e coraggio.
Vinse sette premi Oscar, tra cui Miglior film.

Concludendo qui i titoli “revisionisti” che volevo proporvi, vi do appuntamento alla prossima tappa di questo lungo viaggio nei titoli “che meritano”.

Per l’elenco complessivo dei sotto-generi western che sto trattando. —> Qui.

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