di Louis-Henri Boussenard
Boussenard (1847-1910) fu un prolifico autore francese di feuilleton, celebre per i suoi romanzi d’avventura. Questo genere era da lui tanto bazzicato, da aver ricevuto l’epiteto di “Rider Haggard francese”, non necessariamente con una connotazione positiva. Spesso, infatti, è stato ritenuto un emulo o una brutta versione dello scrittore britannico, o di altri come Verne o Salgari.
Le Robinsons de la Guyane (1882) è ambientato, come si può intuire, nella Guyana francese. Con un incipit che ricorda Papillon, il protagonista fugge da un carcere e tenta di evitare le grinfie della legge nascondendosi nella foresta. Qui, tra malattie, animali feroci, indigeni e inseguitori, dovrà decidere cosa fare e quale direzione prendere: seguire il fiume, puntare alla Guyana olandese (con cui però la Francia ha degli accordi sull’estradizione) o a quella inglese?
La prima metà del libro, incentrata su questi dubbi e sulle tribolazioni dell’eroe nella natura selvaggia, è piuttosto avvincente. Pur essendo intrisa di un certo sapore arcaico dovuto a valori che oggi possono apparire desueti (come la parola “desueti”) o ingenui, si legge bene grazie alla suspense che riesce a generare. Certo non manca una visione paternalistica nei confronti dei neri e una di disprezzo verso alcuni indios, ma vabbè, era l’Ottocento.
Aleggia il mistero su chi siano i benefattori che cercano di far ricongiungere l’eroe con i suoi familiari e al tempo stesso ci si chiede come riuscirà a cavarsela.
La seconda metà, invece, inizia con alcune scelte narrative che ho trovato leggermente surreali e procede diventando sempre più noiosa. Il ritmo rallenta e la storia diventa in più punti pedante e nozionistica. Certamente il fatto che, a differenza di Salgari per esempio, l’autore avesse compiuto un viaggio nei luoghi che descrive, aiuta molto sotto l’aspetto della credibilità. Quello che però era un pregio all’inizio, quando il lettore sapeva che gli venivano narrati i veri ambienti, difficoltà, geografia della Guyana, diventa ora un difetto: facendo sfoggio di ciò che sa, Boussenard inserisce un sacco di note, eventi o particolari che non portano avanti una storia interessante, ma sono semplicemente episodi privi di reale importanza. Forse all’epoca era piuttosto normale (questo difetto lo aveva anche Jules Verne in vari passaggi), ma oggi è certamente un elemento negativo. Sostanzialmente l’avventura vera e propria termina a due terzi del volume.
Il giudizio complessivo è “carino”, ma non me la sento di spingermi oltre.
A ulteriore diffida per chi volesse tentare questa lettura, l’ultima edizione italiana credo sia della Sonzogno, ed è così vecchia che l’autore era stato riportato come Luigi Boussenard (e la Guyana come Guiana).
Della nutrita produzione dell’autore non sono riuscito a reperire altro, perlomeno non in una lingua a me comprensibile… chissà che altre opere non fossero maggiormente meritevoli.