Il più noto scrittore inglese è celebre soprattutto per le sue opere teatrali, drammi in primis. In seconda battuta, ci si ricorda che ha composto anche varie poesie, in particolare sonetti. Solo scavando un po’ si arriva a considerarlo come autore di poemi epico-narrativi. Eppure, quando pubblicò il primo di questi, esso vendette più delle opere teatrali già edite e tali componimenti vennero elogiati dalla critica e apprezzati dal pubblico. Non è chiaro come siano passati in sordina, ma questo non ne inficia i pregi, perciò ho deciso di parlarvene.
Venere e Adone (Venus and Adonis, 1593)
Ispirato a vicende narrate nelle Metamorfosi di Ovidio, riporta la storia dell’innamoramento di Venere per il bel giovane Adone. Ho apprezzato la scelta dell’autore di discostarsi dalle immagini classiche di questi personaggi per fornircene una versione originale e “personale”. Venere è, a tutti gli effetti, una ninfomane arrapata. Buona parte dei 1.194 versi vedono la dea intenta a cercare di sedurre il ragazzo, promettendogli tutta una serie di piaceri sessuali ed elemosinando… be’, sì, una scopata. Adone, dal canto suo, è frigido forte e si mostra disinteressato alle avance e ai loro possibili esiti, preferendo dedicarsi alla caccia. La ragione – nella scelta di Shakespeare – è da ricercarsi nella sua giovanissima età: è infatti ancora nella fase in cui le femmine fanno schifo. Uhm, magari no, non è così imberbe, ma in ogni caso la sua piena maturità sessuale è ancora di là da venire e non è pronto per dedicarsi ai giochi amorosi cui Venere vorrebbe piegarlo. Lo stile è vivace e carico di riferimenti più o meno espliciti al sesso, con immagini ricercate e libidinose che dovettero irretire il pubblico di allora come oggi 50 sfumature di merda fa con le lettrici moderne. Non la si può definire un’opera intrisa di azione – essendo incentrata sui sentimenti dei personaggi, in particolare Venere – ma scorre piuttosto rapidamente.
Lo stupro di Lucrezia (The Rape of Lucrece, 1594)
Altro tema classico per questo secondo poema, leggermente più lungo: 1.855 versi. L’ambientazione è la Roma monarchica, quella sotto Tarquinio il superbo. L’inizio è in medias res: dopo aver sentito Collatino vantarsi della fedeltà della moglie, e infervorato dalla di lei bellezza, Tarquinio (figlio del re) decide di violentarla. La vittima, Lucrezia, nulla può di fronte all’arroganza e alle minacce dell’uomo. Shakespeare ci fa entrare minuziosamente nei pensieri dei due personaggi: lui è combattuto tra passione e raziocinio, lei si strugge inevitabilmente nel dolore per quanto accaduto. L’evento era celebre nella Roma antica, per quanto probabilmente leggendario, e il “cigno di Avon” aveva a disposizione varie fonti classiche. La sua abilità è notevole, perché riesce ad intessere su un numero ridotto di fatti un’opera discretamente lunga e non noiosa. Non dico che tenga incollati alle pagine, ma si tratta di un intrattenimento pregevole, che giunge nel finale ad un vero climax, con gli eventi che si susseguono in maniera sempre più rapida.
Se non fosse per il mio andare comunque avanti a c***o duro, trattare di un autore così importante mi avrebbe messo un po’ di soggezione. Voi avete letto queste opere? Che ne pensate?
Ho letto solo i sonetti “all’amato”, di questi due poemi invece conosco, ma per fama e non altro, Lucrezia.
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