di Talbot Mundy
I sentimenti e il senso di giustizia non sono la stessa cosa. Ma i sentimenti rimangono. La giustizia è un ideale.
Talbot Mundy (1879-1940), il cui vero nome era William Lancaster Gribbon, era uno scrittore britannico naturalizzato americano. Oggi è considerato uno dei precursori e dei più significativi autori della narrativa pulp. In Italia è maggiormente noto (ma in realtà non è noto, ammettiamolo) per I nove sconosciuti, libro che parla dell’omonima società segreta che sarà poi ripresa da altri autori. All’estero, però, il suo capolavoro è ritenuto King – of the Khyber Rifles (1916), che ho deciso di leggere.
La storia si svolge tra India (che allora includeva il Pakistan) e Afghanistan alla vigilia della prima guerra mondiale. Il capitano Athelstan King è un agente segreto del Raj Britannico che deve cercare di spiare e fermare eventuali insurrezioni delle tribù montanare, sollecitate dall’impero ottomano. Per farlo deve collaborare con l’avventuriera Yasmini, estremamente misteriosa, pericolosa e ammirata dai nativi.
Sapendo che si tratta di un pulp, quindi in teoria un romanzetto di serie B – da pubblicazione periodica sui giornali e infarcito di azione, per intenderci – sono rimasto abbastanza shockato nello scoprire che, leggendolo in lingua originale, facevo fatica a capirlo. Innanzitutto perché parte in medias res, dando per scontato che il lettore conosca la situazione geopolitica e magari pure la geografia di quel luogo e tempo specifici. Come se non bastasse, agli elementi reali e storici aggiunge quelli di fantasia, dando per assodati anche questi ultimi e rendendo la comprensione ancora più ardua.
E poi c’è il linguaggio, estremamente ricercato e ricco di similitudini che attingono alla cultura classica e a paragoni raffinati.
[…] e con un altro movimento non così rapido, ma molto più sconcertante, lanciò il proprio lenzuolo come un reziario era solito lanciare la rete nell’antica Roma.
[…] Nell’istante in cui il moto del treno si arrestò del tutto, il calore li investì come se il coperchio del Tofet fosse stato chiuso con violenza.
[…] Attorno a loro lo sferragliare della folla della stazione iniziò a disperdersi, e la Parsimonia in uniforme consunta si mise ad abbassare le luci.
Nonostante tutto questo, è riuscito a coinvolgermi. Anzi, una volta abituatomi allo stile complesso dell’autore, è stato un piacere osservare il modo preciso, colorito e dettagliato con cui descrive le situazioni, gli ambienti e, soprattutto, i personaggi. Ogni loro movimento, espressione, frase, pensiero, viene minutamente analizzata. Non è solo un esercizio di stile: il gioco di inganni, il saper fingere, il simulare emozioni, sono fondamentali per il protagonista – e non solo per lui – e questo soffermarsi su uno sguardo che si illumina ma cerca di dissimulare la sorpresa o su un dubbio che viene subito sostituito da una contromossa, risulta alla fine perfettamente coerente con la narrazione.
Molto interessante è la visione che l’autore ci dà delle popolazioni orientali. Avendo vissuto in India, non era totalmente digiuno di rapporti con i nativi. Se da un lato ci sono rispetto e fascinazione per alcuni elementi, dall’altro non manca di evidenziare le mancanze di quelle culture. Si percepisce il tentativo di illustrare l’Oriente come un mondo con i suoi pregi e i suoi difetti, proprio come quello dei suoi lettori, ma senza dubbio di difficile comprensione e decisamente “altro”. Tuttavia, l’ammirazione per la società, l’ordine e gli ideali britannici traspaiono ripetutamente.
Di seguito, un gustoso e colorito stralcio di comportamenti tipici del mondo indo-afghano:
Iniziò a crearsi un passaggio [tra la folla], calciando a destra e a sinistra e ridendo quando le sue vittime protestavano. Prima di aver percorso cinquanta iarde si era fatto più nemici di quanti molti uomini aspirerebbero ad avere in una vita intera, e sembrava molto soddisfatto del frutto dei suoi sforzi.
A mio avviso la narrazione subisce un rallentamento circa tra metà e due terzi del libro, soprattutto in fase di spiegone, in cui si illustra un piano che a me è parso abbastanza delirante, ma complessivamente il ritmo è buono. Non me la sento di consigliarlo a chiunque, ma se si è interessati al rapporto Occidente/Oriente di quell’epoca, al contesto storico/geografico e alle avventure esotiche con intrighi, allora potrebbe piacervi.
Esiste anche un film omonimo che però non ha praticamente nulla a che vedere con il libro.