LIBRI: Quando eravamo in tre

The Toll Bridge, 1992, di Aidan Chambers

Quando eravamo in tre.jpgPoiché ormai i romanzi scritti negli ultimi ottanta anni costituiscono una percentuale risibile delle mie letture, mi sono fatto suggerire da una mia conoscente qualcosa da affrontare che le fosse piaciuto. In particolare, dato che un po’ per lavoro e un po’ per passione questa tipa si interessa ai romanzi young adult, ho accettato questa proposta.
Mi è stato detto che Chambers è autore fondamentale di questa categoria di libri e data la quantità di titoli che ha sfornato, posso crederci.

Quando eravamo in tre parla di un ragazzino di diciassette anni (Piers detto Jan) che – sotto stress e depresso – decide di allontanarsi da famiglia, ragazza e amici per andare a fare di lavoro quello che raccoglie il pedaggio dalle auto che transitano lungo un ponte a pagamento. Vivrà nella catapecchia lì vicino, da solo, cosa che all’inizio gli creerà un po’ di problemi, essendo l’ambiente realmente spartano e lui a corto di mezzi ed esperienza.
Il lavoro è davvero molto poco impegnativo, tanto che tutto sommato è quasi ininfluente ai fini della narrazione. Però l’isolamento, il ponte, la strada, insomma il contesto in cui si trova a vivere, sono visti come importantissimi per il protagonista, che ne trae beneficio psicologico e ha l’impressione di stare trovando se stesso o un po’ di serenità. Ad affiancarlo c’è una ragazza (Katherine detta Tess), la figlia dell’amministratore della proprietà di cui il ponte fa parte, per la quale inizia a provare attrazione. E poi, più inquietante, un giovane dal passato misterioso (Adam) che irrompe nelle loro vite e riesce a farsi amare da loro.

Il libro si legge speditamente, forse giusto nel finale si avverte un po’ di affaticamento, ma nel complesso richiede molto poco tempo e sforzo. L’analisi dei turbamenti e dubbi adolescenziali è interessante: come immagino sia dovere implicito di ogni libro come questo, ha per scopo entrare in sintonia con i potenziali lettori, narrare loro le difficoltà di personaggi con cui potrebbero identificarsi. Avendo avuto a che fare anch’io con la depressione, un personaggio che la affronta mi risulta stimolante.

Non mancano però quelli che per me sono difetti non grossi, ma degni di menzione. Innanzitutto, per trecento pagine ci viene sciorinato il dramma di questi ragazzini che non sanno come gestire la depressione, i sentimenti verso il partner, il rapporto tra di loro, le conseguenze delle loro scelte sessuali… poi tutto ciò non giunge ad una conclusione. Benché il passato di Adam – l’unico elemento che dia l’idea di una sorta di vera storia al di là delle pippe mentali – sia affrontato tutto sommato pochissimo, alla fine è il solo che trova una spiegazione e un finale: bello o brutto dipende, ma almeno un finale. Tutto il resto, cioè i drammi emotivi – il grosso del libro – vengono lasciati in sospeso o si accenna appena al loro futuro. Come farà Jan con la depressione? Che ne sarà del suo rapporto con la (ex?) ragazza? E con Tess? E Tess ha avuto conseguenze spiacevoli dalla sua scopata inopportuna? Non lo sapremo mai.

Altra cosa che mi lascia perplesso è il linguaggio. Occhei, siamo ggiòvani e ci piace dire cazzo, merda, stronzo, sfiga…  Ma lo scriviamo anche? Insomma, ricordo bene che ai tempi del liceo – ma anche ora – abusavo nei dialoghi di simili vocaboli non proprio lindi, e in generale mi esprimevo in maniera semplice e diretta. Ma quando andavo a mettere per iscritto i miei pensieri o qualunque cosa, queste parole scritte non erano le stesse che avrei usato nel parlato. Qui invece, per riprodurre un linguaggio giovanile, l’autore fa scrivere i suoi personaggi come immagina che debbano parlare. Quindi la loro narrazione assomiglia più ad una parlata tra amici che ad un testo in cui riportano avvenimenti. Certamente ciò dà una maggiore idea di immediatezza e freschezza, ma nella sua spontaneità è forse più falso di una scrittura leggermente più asciutta.

Sostanzialmente non mi sento di sconsigliare questo libro, ma non posso neanche dire che sia eccezionale o che mi faccia anelare ad altri young adult. Intendo affrontarne però ancora – magari più recenti – per capire meglio in cosa consistano e quale sia il loro senso. Perché onestamente fatico ancora a comprendere quale sia la motivazione dell’esistenza di libri “facilitati” per lettori teenager, che “vengano incontro ai loro gusti”. Che poi, cosa vuol dire ciò? Parlare di turbe e, soprattutto, parecchio, very much di sesso? Perché l’impressione è questa. Da ragazzino non mi pare avessi bisogno di libri apposta per me come categoria di persona, a quei tempi leggevo quello che mi andava a prescindere dal supposto target anagrafico. Mah…

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6 risposte a LIBRI: Quando eravamo in tre

  1. GramonHill ha detto:

    Deve essere interessante… perlomeno la storia mi ispira molto. Purtroppo anche per me la depressione è un argomento famigliare, e trovo bello che riusciamo a parlare di una cosa così delicata in questo spazio. Comunque di libri scritti negli ultimi 80 anni, di facile lettura me ne vengono in mente un casino. Su tutti Il giovane Holden. Molto sopravvalutato ma si legge in una giornata.

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    • Aussie Mazz ha detto:

      L’ho letto diversi anni fa!
      Il mio problema è che la narrativa moderna mi ispira poco. So che è una follia, ma preferisco affidarmi agli autori del passato “remoto”. Però c’è stata un’epoca in cui ho letto svariati contemporanei. In questi anni, però, mi è parso di notare una certa omologazione dei temi e dei generi e dell’impianto narrativo, quindi affronto un libro ogni tanto, ma con parsimonia.

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  2. Lucy the Wombat ha detto:

    Sai che invece quando io ero ragazzina li leggevo, i libri per teenager? Però la perfetta definizione “facilitati” mi mancava 🙂
    Comunque senza averlo letto mi ispira per la storia, ma i difetti che sottolinei tu tipo quello della parlata finto-spontanea sono abbastanza imperdonabili ☺️

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    • Aussie Mazz ha detto:

      È da un po’ che non ci si vede! Attendo il tuo prossimo post!

      Può darsi che anch’io abbia letto libri per teenager, ma non ci ho fatto caso. Non ho mai pensato di avere una categoria di libri pensata per “quelli come me”, non ho mai sentito la definizione “young adult” fino a quando non lo ero più. Mi sembra che negli ultimi anni si sia calcata molto la mano su questa categoria, come se si cercasse disperatamente di attirare i giovani, di farli leggere, come a voler “urlare” che “questo è per voi, è pensato per voi, ragiona come voi, leggetelo che vi identificate!”. Ma poi se una generazione non legge, non so a quanto serva questa mossa.
      Ho visto molte recensioni di “young adult” qui su WordPress, ma sempre di persone che hanno passato da un pezzo i 18 anni…
      Comunque ribadisco che sono ignorante in materia e per questo voglio approfondire.

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      • Lucy the Wombat ha detto:

        Interessante il discorso, i miei libri erano collane per ragazzi autentiche, non pensate per essere semplificazioni di altro materiale per rivolgersi a giovani. Non dico che ora sia tutto così, anche perché sono ignorantissima in materia, ma secondo me una parte dell’insuccesso sta nel fatto che si cerca di rivolgersi a un certo pubblico sottovalutandolo. I giovani sono intelligenti e assorbono benissimo, peccato che non leggano più 😦
        E sì, nell’ultimo periodo non ho avuto non dico il tempo per scrivere ma nemmeno quello per leggere, ma ora recupero! Ciao! 😊

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  3. Pingback: Dieci bellissimi coetanei (I miei 10 film preferiti del 1987) – GramonHill

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